

Provengo da una famiglia di ricchi mercanti di Suzail, la famiglia Rain, che da quasi un secolo commercia in reagenti chimici. Tannino per conciare le pelli, inchiostri per gli scrivani, zolfo per le viti. Quasi tutti nella regione si rifornivano dai Rain. Non che me ne sia mai curato: il debole carattere di mio padre mi lasciava attingere liberante dalle casse di famiglia, in quanto secondogenito. Mio fratello maggiore, lui si che era un bravo ragazzo: bravo a tener di conto, bravo a parlare con i mercanti, bravo a trattare sul prezzo, abile nel creare e gestire contatti e pubbliche relazioni.
Presto a casa mia ci si stufò del mio edonismo, e un giorno trovai nel salotto degli ospiti i miei che conferivano con uno straniero. All’epoca quell’impermeabile nero e quella maschera di acciaio non suscitarono in me più di una debole curiosità naif.
Poche settimane dopo trovai i miei bagagli pronti e due poco cortesi energumeni mi scortarono presso l’accademia, dove scoprii che i miei genitori mi avevano sbolognato a tale Goryan. Pagai subito la mia prima brutta risposta, con un ceffone e il divieto di parlare. Ogni mia ribellione venne punita con il digiuno forzato, con l’obbligo del silenzio e con le percosse.
Per cinque anni non mi fu concesso di aprire bocca, e invece di imparare la scienza, la storia e le lingue, ero condannato ai lavori più umili. Lavare i pavimenti, spolverare, spostare carichi pesanti. Le privazioni e il duro lavoro temprarono il mio fisico e la mia volontà.
Allo scoccare del quinto anno accadde un fatto che fu la mia fortuna. Aprendo la porta dello studio di Goryon, vidi una cosa che non avrei dovuto vedere. Poco dopo ci fu un’ispezione del Rettore stesso, il quale chiese di conferire personalmente con me, chiedendomi esplicitamente se ci fosse qualcosa di strano negli studi privati di Goryon. Io mentendo lo difesi. Così vinsi il suo rispetto.
E venni promosso da sguattero a studente. Goryon mi seguiva personalmente negli studi, lasciandomi accesso a quasi tutti i suoi libri, che leggevo avidamente, come fossero il giusto contrappasso di cinque anni di privazioni. Mi sono specializzato nello studio della vita e della morte, e delle leggende di come gli antichi maghi le manipolavano, anche se sono solo un principiante, non avendo ancora recuperato tutti gli anni trascorsi in silenzio.
Lo seguivo costantemente, nelle lezioni e negli esperimenti, tanto che cambiò idea e mi restituì un nome. Mi chiamò Hound, Cane. Niente di entusiasmante, ok, ma almeno avevo di nuovo un nome. Iniziò anche a spedirmi a fare commissioni nella regione. Spesso mi mandava dai miei, a recuperare reagenti. A casa ormai mi guardavano come se fossi diventato un mostro. Non rispondevo più al nome Nicholas, né ai vari diminutivi Nick, Nickie… Il mio sporco impermeabile di pelle mi rendeva un estraneo in quel mondo ancora dorato e ipocrita.
Il pacco che stavo portando a Goryan quella volta conteneva un libro. L’involucro di pergamena era spesso, ma avevo lasciato indugiare le mie dita attraverso l’incartamento sigillato dalla ceralacca, sentendo i rilevi della copertina. Tim, la guardia del corpo a cui ero stato affidato, non era curioso quanto me. La carrozza si arrestò di colpo, quando al posto dell’Accademia fu possibile scorgere un enorme cratere, da chilometri di distanza.
Mi stabilii per qualche tempo da Tim, vicino all’accademia, cercando di stabilire con i superstiti quali fossero le cause del disastro, e collaborando a scavare tra le macerie infestate da non morti, scivolando non visti tra le loro fila, catturandone e dissezionandone uno ogni tanto, per capirne i punti deboli e cogliere l’attimo in cui la non-vita cede sotto i colpi del bisturi. Mi guadagno il pane e il letto insegnando a leggere e a scrivere al figlio di Tim, Junior.
Tra le rovine dell’Accademia pochi studenti superstiti hanno promesso di mantenere viva la tradizione, di aggregare i dispersi e rifondare l’Accademia, dandosi appuntamento ogni anno, al solstizio, per aggiornarsi. Tra il mio gruppo di ricerca ci sono Blackrow, archeologo; Steele, ingegnere e Heinlein, apprendista medico, gli unici con cui ho legato in qualche modo.
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